uno spettacolo di Luca Micheletti
da Jacques Prévert
"Forse non è il paesaggio ad esser brutto
È il nostro occhio che è cattivo"
Jacques Prévert
Le folli stagioni rivelano un Prévert inaspettato, sfrenato, dirompente. Non più malinconico e fané, ma irridente e surreale, burlesco e caustico. Lo spettacolo intreccia l’eros al travestimento, e il risultato è un grotesque polifonico, musicale e magico, che ha per argomento l’amore deluso, già tema principe della lirica d’ogni tempo, ed ora, sorprendentemente, fatto oggetto invece d’una vera e propria “farsa del disincanto”. Le canzoni eseguite dal vivo (che omaggiano e riscrivono Kosma e Bécaud, tra gli altri), fanno da contrappunto al labirinto acustico nel quale le voci si perdono e si confondono – per dare spazio al sogno – e infine si ritrovano e si raccontano, sul bordo estremo tra realtà e messinscena. Il cammino dell’innamorato, dalla chiamata dei sensi alla perdita del senno, è descritto tenendosi ben lungi dal dramma esistenziale, attraverso un catalogo di “tipi” o “maschere”, leggende o parodie di vieux amants: uno sciupafemmine che ha smarrito il proprio fascino, un toro vanesio che si fa bello per una novella Pasiphae “postatomica”, un insonne bohémien con manie omicide, o l’Inverno che rende folli le stagioni quando letteralmente “si squaglia” d’amore… La lingua di Prévert, inarrestabile e iridescente, si offre genuina alla creazione scenica e il teatro le dà corpo, rinnovandola con agile invenzione perché ritorni ad essere a buon diritto un “mito d’oggi”.