Da dire, suonare, danzare
"Non possiamo essere insieme quel che siamo e quel che fummo..."
Quando tra il 1917 e il 1918, “di fronte al nulla, in terra straniera e nel bel mezzo della guerra”, Igor’ Stravinskij compone l’Histoire du soldat, esplode l’epidemia di “spagnola”. E quello che doveva essere uno spettacolo itinerante e adatto ai magri tempi di guerra – pochi esecutori, pochi attori e agili scene da trasportare da una città all’altra – viene costretto a un’unica rappresentazione: il 28 settembre 1918 al Teatro Municipale di Losanna, dove però rivela tutta la sua dirompente forza espressiva. A finanziare il progetto è Werner Reinhart, mecenate e musicista dilettante, cui sono dedicati i tre pezzi per clarinetto solo eseguiti qui come intermezzo.
Per il soggetto il compositore attinge dalla madre Russia, ovvero dalla raccolta di racconti di Afanas’ev – in particolare dalla storiella del soldato che dopo averlo fatto ubriacare si sbarazza del diavolo e da quella del soldato disertore e del diavolo che riesce a rubargli l’anima. Storie che, in realtà, con le varianti tipiche della narrazione di tradizione orale, appartengono a ogni popolo che abbia conosciuto la guerra, e che Stravinskij e lo scrittore Charles-Ferdinand Ramuz combinano ponendo in primo piano il tema faustiano dell’uomo che cede al demonio l’anima (simboleggiata dal violino) in cambio di beni e ricchezze, quindi sottolineandone il carattere universale.
Ne scaturisce uno spettacolo che non è facile classificare: non può dirsi un’opera, non un balletto e neppure un dramma con musica. Appare piuttosto come una storia “illustrata” da musica, scene e azione in cui ogni componente conserva significato ed esistenza autonomi: in un insieme in aperta rottura con il lascito operistico ottocentesco, eppure di rara efficacia teatrale.
Insieme a un manipolo di strumenti, sorta di cameristico concentrato di orchestra, sul palcoscenico il ruolo di primo piano spetta al narratore: a lui, come nella miglior tradizione popolare, tocca il compito di tracciare la vicenda del soldato che, in licenza, si lascia convincere a cedere il suo vecchio violino al Diavolo, in cambio di un libro magico che rivelandogli il futuro gli darà la ricchezza. Ma i tre giorni che trascorrono insieme si trasformano in tre anni e il soldato si ritrova improvvisamente estraneo al proprio passato e ai propri affetti: della ricchezza non sa che farsene, straccia il libro e si rimette in cammino. Incontrerà di nuovo il Diavolo e riuscirà a riconquistare il violino, insieme alla libertà perduta, giocandosi ogni avere in una partita a carte. È con quello strumento che riesce a guarire, e quindi a sposare, la figlia del re. Dunque, la felicità è ancora possibile, ma il Diavolo è sempre lì, a ricordargli che non si può avere tutto: quando la nostalgia lo sospingerà verso il passato, verso casa, lui sarà lì ad aspettarlo. Così, dietro la triste storia del soldato si intravede la sorte amara dell’uomo, l’inevitabile e doloroso esito della impari lotta che ognuno è chiamato a sostenere contro il destino.