Da dire, suonare, danzare
"Non possiamo essere insieme quel che siamo e quel che fummo..."
da dire, suonare, danzare
musica Igor Stravinsky
testo Charles-Ferdinand Ramuz
versione italiana Giusi Checcaglini e Luca Micheletti
Intermezzo:
Tre pezzi per clarinetto solo (1918)
di Igor Stravinsky
regia e ideazione scenica Luca Micheletti
maestro concertatore e direttore Angelo Bolciaghi
Il diavolo Luca Micheletti
Il soldato Massimo Scola
Il narratore Valter Schiavone
La principessa Lidia Carew
Il diavolo (scene danzate) Andrea Bou Othmane
violino Daniele Richiedei
clarinetto Giuseppe Bonandrini
fagotto Anna Maria Barbaglia
cornetta Marco Bellini
trombone Devid Ceste
contrabbasso Gianpiero Fanchini
percussioni Francesco Bodini
light designer Fabrizio Ballini
sculture Luigi Casermieri e Liliana Confortini
assistente alla regia Francesco Martucci
assistente ai movimenti scenici Silvia Illari
produzione Compagnia teatrale I Guitti e CamerOperEnsemble
in collaborazione con Ravenna Festival
In un’Europa prostrata dalla guerra e dall’epidemia di spagnola del 1918, Stravinskij e Ramuz compongono e mettono in scena l’Histoire du soldat, con l’encomiabile volontà di dare vita ad un’utopia – quella dell’arte che continua nonostante tutto e con tutti i mezzi che ha a disposizione –, riunendo un’eterogeneacompagine formata da musicisti, attori e danzatori. Gli illustri sodali avrebbero dovuto improvvisare un’avventurosa tournée per le province svizzere dell’immediato primo dopoguerra. Il destino dell’opera fu però differente: dopo il debutto lo spettacolo dovette interrompersi, ma presto l’Histoire fu salutata come un gioiello destinato a fare scuola, uno dei più innovativi e riusciti tentativi di dare vita alla chimera dell’opera d’arte totale in una raffinata versione da camera. Attraverso l’alternarsi di scene recitate, narrate, danzate e numeri esclusivamente strumentali, una sorta di eclettico caravanserraglio racconta l’antico scontro tra il bene e il male, il mito intramontabile dell’incontro con il diavolo e della compravendita dell’anima (qui simboleggiata dal celebre violino) tradotto in una fiaba popolare, vivace ed emozionante.
In tempi difficili, si guarda al mito per ritrovare se stessi e una strada: ed è il mito di Faust che Stravinskij seleziona – sempre caro agli artisti che vogliono spingere “oltre” il loro sguardo – qui declinato nella forma semplice e arcana dell’antica leggenda russa raccolta e narrata da Afanas’ev. Compiendo un viaggio di formazione alla ricerca della felicità, il soldato rintraccerà amaramente il senso della vita nel solenne monito che chiude l’opera: «Non è consentito avere tutto. La felicità è una», da intendersi come un invito a dar valore al presente e a vivere senza egoismi ogni istante della vita.