di e diretto da Luca Micheletti
"Ma dove sono le cose che cerchiamo, se già sono con noi, e non le vediamo?"
Sganarello
Don Giovanni Losio era di Piuro (il “Paese del Pianto”), terra ricca ma fatale sul confine tra Italia e Svizzera, che sprofondò sotto la frana del 1618, interpretata all’epoca come un castigo di Dio. La pietra che prese vita e punì. Nella catastrofe, Giovanni perse la famiglia e iniziò a peregrinare per l’Europa, finché non si stabilì a Praga, dove divenne ispettore del dazio ed entrò alla corte del potente Cardinal von Harrach. Anche a Praga la pietra prende vita e punisce: l’antica leggenda del Golem racconta proprio questo, di un rabbino che fu in grado, nel Ghetto, di animare la materia inerte, l’argilla originaria, e di creare un uomo di pietra capace di spaventare ed eliminare i nemici del popolo ebraico. Don Giovanni Losio, a Praga, sposò donn’Anna Konstanzia. Giovanni e Anna: gli stessi nomi dei protagonisti d’un celebre e torbido amore, quello fra il seduttore impenitente (il famoso Don Giovanni, appunto) e la figlia sedotta d’un certo Commendatore ucciso dal libertino. Per la terza volta, seguendo il filo rosso di leggenda e onomastica, ritroviamo la pietra che prende vita e castiga. Sulla tomba del Commendatore, infatti, com’è noto, una sua statua si animerà fino a raggiungere il desco di Don Giovanni per punirlo a causa dei suoi peccati. Ed è proprio questa la vicenda che, da secoli nella storia del teatro, si indica col titolo tradizionale de Il convitato di pietra.
Ricomponendo un fantastico mosaico di storie lontane e vicine, miti occidentali e folclore locale, sullo sfondo surreale della magica Praga che s’alterna ad un immaginario “Paese del Pianto”, I Guitti riscrivono un inedito e sorprendente Don Giovanni, tra Molière e Meyrink, tra Chamisso e Kafka, tra Hoffmann e Ghelderode: un “fantasy” sull’occulto potere dei segni e, al contempo, una riflessione attualissima sul concetto di giustizia (divina e terrena) e le controverse dipendenze fra il delitto e il castigo.