L'UOMO CHE VOLEVA SCOMPARIRE

scritto e diretto da Luca Micheletti


"Il suo sogno è di scomparire completamente dietro la sua opera.
E sarebbe ancora più felice se il bronzo si fosse manifestato da solo. "
Jean-Paul Sartre

L'UOMO CHE VOLEVA SCOMPARIRE

Dialogo della Natura e di uno scultore
liberamente ispirato alla vita e all'opera di Alberto Giacometti

regia e drammaturgia Luca Micheletti

con (in o. a.)
Diego Baldoin Il prestigiatore De Sartre detto Il Marchese
Nadia Buizza La Sfinge, poi La Madre
Adolfo Micheletti Il Prete, poi Il Becco
Luca Micheletti Il collezionista Klamm, poi Il Cieco
Michele Nani Mme Irma, poi Nonna Non-ha
Claudia Scaravonati Edwarda, poi La Figlia
Valter Schiavone Alberto G.
Fabio Tameni Arlequin
e con Martina Bianchi alla fisarmonica

spazio e costumi Luca Micheletti
luci, suono e direzione tecnica Roberto Lisignoli
assistente alla regia Claudia Scaravonati
capo costruzioni Gianni Lisignoli
addetti alle costruzioni Sandro del Curto, Roberto del Curto, Alessandro Lisignoli, Paolo Lisignoli, Antonello Puglia, Floriano Geronimi, Alessio Geronimi
foto di scena Andrea dell'Agostino

La giacca indossata da Valter Schiavone è un capo originale appartenuto ad Alberto Giacometti, per gentile concessione di Marco Giacometti.

produzione Compagnia teatrale I GUITTI
in collaborazione con Associazione italo-svizzera per gli Scavi di Piuro

Il testo è pubblicato in
Luca Micheletti, Scenari di Belfort, Sedizioni, Milano, 2017

Entrando a passi felpati nell’atelier immaginario dello scultore forse più grande del secolo XX, Alberto Giacometti, quest’opera teatrale ne intreccia l’avventura umana con quella artistica, attraversandone in un viaggio caleidoscopico e onirico i luoghi della geografia e dell’anima. Dalla Parigi ancora fantastica e scintillante degli anni Venti che poco a poco diviene luogo metaforico e metamorfico di ricreazione infinita della realtà, fino al ritorno a casa, nella Bregaglia familiare della giovinezza, anch’essa occasione di osservare “l’eternità che trascorre” (Genet), Giacometti, “asceta della forma”, si è mosso da fermo – come le sue sculture – alla ricerca di una solitudine che illumini l’umanità: probabilmente, l’Arte, nel suo significato più antico e sacrale. Come disse Jean-Paul Sartre, «il suo sogno era di scomparire completamente dietro la sua opera»; amante della fuga e dello smarrimento, era in grado di perdersi sul sentiero della creazione, esplorando senza falsi pudori la radice più fonda dell’umano, magnificando l’incontro come somma occasione dell’arte: ha conosciuto più a fondo coloro che ha scolpito, uomini e donne prossimi a sé e alla sua piccola storia, messa al servizio dell’universale. In un racconto intimo e familiare, nutrito ma non esaurito dalla sua biografia, il teatro vuole ritrovare un Giacometti in lotta con la materia, alla ricerca di quell’oggetto invisibile che ha contraddistinto la sua caparbia ricreazione del mondo, alle prese con le visite più disparate: alla porta del suo atelier si presentano creature vive e simulacri, uomini in carne ed ossa e abitatori di sogni, maschere e idee. E mentre il mondo intorno a lui fa di tutto per esistere, lo scultore si trincera in una tana domestica e antica, aspirando ad una calma solitudine e trasferendo le proprie inquietudini di uomo nella materia vibrante dei suoi fantasmi di bronzo, attraverso i quali si difende dai visitatori importuni. Nella frastornante e belligerante Europa della prima metà del Novecento, egli si pone come testimone, come “uomo che cammina” accanto alla storia e se ne fa silenzioso totem. Il “cuore” della sua arte è insito nella sua apparente essenzialità, che è ricerca della vita nella materia inerte. Il paesaggio natio e l’infanzia fra i monti dovevano essere premessa di un dialogo privilegiato con la Natura che lo spettacolo, servendosi di echi leopardiani, presenta in una successione di scene sorprendenti e vivide, tra realtà e fantasia. Mentre suona spensierata o tenebrosa la musica del mondo, un uomo tace e modella, scompare nel bronzo, dialoga con la polvere e, come un sacerdote sornione e appassionato, interroga senza posa il mistero d’esistere.


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