di Carlo Goldoni | regia Luca Micheletti
"Donne alla larga, tutte quante elle sono! Hanno fatto il diavolo per darmi moglie, né mai l'ho voluta."
La più grande commedia di Goldoni è una parabola sull’impossibilità dell’amore, dal sapore ironico e malinconico, divertito e amaro insieme. Mirandolina, che innamora tutti e sembra non innamorarsi di nessuno, “donna manager” ante litteram, androgina ma seducente, incarna l’idealtipo della dominatrice irraggiungibile, della femmina di ghiaccio, della “bella petra” della tradizione lirica, trasposta in chiave comica in un’inedita versione satirica. “Deliziosa civetta” o “settecentesca amazzone”, la commedia che la vede protagonista racchiude in sé anche i cardini tematici dell’intera drammaturgia borghese che Goldoni sta inaugurando, ovvero quelli del sesso e del denaro, legati insieme in un unico nodo inestricabile: la morale dell’utile e il divertimento carnale sono i tabù su cui poggia l’intera pièce: nessuno vi è mosso da sentimenti di moderazione. La locanda è piena di camere oscure in cui si commercia il desiderio (di Eros o di Pecunia). Crudele e fatato bozzetto di un’era, La locandiera è anche una delle più brillanti e sapide commedie della tradizione nazionale, farcita della sapienza “dell’arte”, dei lazzi dei mestieranti, dei giochi linguistici più disinibiti e sottili, dei doppi sensi più raffinati, nascosti sotto la bella lingua francesizzante (che tanto dispiaceva al De Sanctis!) che risuona in una fantomatica Firenze: guarda caso, proprio la culla della commedia moderna.